ESCLUSIVA - Simone Barone si racconta a 360 gradi: dalla nuova avventura in panchina al Mondiale vinto nel 2006

29.09.2021 01:00 di  Nicolò Schira   vedi letture
ESCLUSIVA - Simone Barone si racconta a 360 gradi: dalla nuova avventura in panchina al Mondiale vinto nel 2006

Oltre 400 presenze in carriera da professionista e una lunga scalata dalla Serie C al tetto del mondo raggiunto la notte del 9 luglio 2006, quando ha vinto il Mondiale con la Nazionale. Il sogno di ogni bambino, che inizia a giocare a calcio, realizzato grazie a talento, passione e sacrifici. Oggi verrebbe definito un "box to box" per la sua abilità ad inserirsi in zona gol. Un tuttocampista che ha fatto la fortuna di tanti allenatori: da Delneri a Guidolin passando per Prandelli, Zaccheroni e Allegri fino a Lippi. Da ognuno di loro ha rubato qualcosa e da loro ha tratto ispirazione per l'avventura 2.0 della sua carriera calcistica. Quella in panchina. Parliamo di Simone Barone, che dopo le ottime annate nei settori giovanili di Modena, Parma, Sassuolo e Juventus è pronto a mettersi in gioco alla guida dei grandi. In attesa della chiamata giusta si è raccontato in esclusiva e 360 gradi ai nostri microfoni. Una chiacchierata a cuore aperto e senza filtri tutta da gustare, meglio prendersi del tempo e mettersi comodi. 

L'abbiamo vista in questi giorni su vari campi di Lega Pro come Modena e Reggio Emilia...

"Mi piace vedere i giocatori dal vivo per notare anche come si muovono e si comportano senza palla. Per questo motivo sto girando tanto e ogni weekend seguo gare del campionato Primavera, di Serie B e Lega Pro allo stadio. Sono carico e desideroso di tornare presto in panchina, nel frattempo ne approfitto per aggiornarmi. Anzi spero - Covid permettendo - di poter andare anche a seguire il lavoro settimanale di qualche collega, anche perché durante gli allenamenti si scoprono e imparano cose preziose sia a livello tecnico-tattico sia nella gestione del gruppo". 

Potendo scegliere, chi le piacerebbe studiare da vicino?

"In Italia mi intriga molto Vincenzo Italiano che a Firenze sta facendo benissimo e in questi anni ha fatto una lunga gavetta, salendo di livello stagione dopo stagione. All'estero invece Jurgen Klopp mi affascina tanto".

In questi anni ha già accumulato una esperienza improntate nei settori giovanili. Si sente pronto per il salto alla guida dei grandi? 

"Certamente. Una volta che ho intrapreso il percorso fa tecnico ho scelto di iniziare dai giovani e i tanti anni di settore giovanile sono stati una palestra davvero preziosa, in cui ogni anno ho cercato di alzare l'asticella per avvicinarmi al calcio dei grandi. Sono partito dal Modena per poi passare al Parma e successivamente alla Juventus Under 16 prima degli ultimi 3 anni col Sassuolo Under 17. A Torino e Sassuolo tra l'altro ho avuto la possibilità di confrontarmi nella gestione con i tecnici della Prima Squadra che erano Allegri alla Juve e De Zerbi a Sassuolo. Un notevole arricchimento. E così accumulata una esperienza significativa a livello giovanile ho scelto di provare a confrontarmi con il calcio dei grandi quest’estate con il passaggio alla Correggese: lì poi c'è stata confusione e un cambio societario che ha provocato un passo indietro dopo un mese di lavoro...”.

Però non ha allenato in gare ufficiali, ergo può tranquillamente sedersi su in panchina in questa stagione...

“Proprio così, precisazione giusta perché spesso mi accostano ancora alla Correggese o addirittura all’Athelic Carpi, ma non sono l’allenatore di nessuna di queste due compagini. Sto andando in giro a 360 gradi per studiare e aggiornarmi e posso allenare, anche domattina, una nuova squadra se arriva l'opportunità giusta. Anzi non vedo l’ora di rimettermi in gioco in una nuova avventura”. 

Mi ha colpito una frase che ha detto qualche anno fa: “voglio insegnare ai ragazzi cos'e il sacrifico e la passione per il calcio”. Valori oggi smarriti?

"In questa professione non devi avere maschere: devi essere te stesso con i tuoi principi. L'aspetto umano è importantissimo e ti può dare qualcosa in più. Il gruppo e lo spirito di coesione alla lunga ti può dare qualcosa in più rispetto a chi magari fa le rovesciate ma poi non rispetta le regole. Il gruppo ti trascina quando le cose vanno bene e ti aiuta nei momenti di difficoltà a uscire dai problemi. Bisogna fare sacrifici per inseguire i propri obiettivi. In tal senso a livello di gruppo si era era creato qualcosa di importante in poche settimane con i ragazzi sia a livello empatico che di campo anche alla Correggese, peccato”. 

Da ragazzo chi era il suo modello di riferimento?

“L’idolo sicuramente Roberto Baggio, che era il numero uno dei calciatori italiani: lo amavo, però come ruolo mi ispiravo a Demetrio Albertini. Parliamo di un giocatore di grandissima intelligenza tattica, che batteva benissimo i calci piazzati e aveva il lancio a sessanta metri come il passaggio corto: insomma un un centrocampista giocatore completo. Ho avuto poi la fortuna di condividere con lui l'avventura Mondiale in Germania, visto che era il nostro capo delegazione e gli ho raccontato quanto sia stato un punto di riferimento per me. Non nego che l'amicizia poi nata con quello che per me era un punto di riferimento sia stata un’emozione speciale”.

Ci racconta com’è il Simone Barone allenatore nello spogliatoio? 

“Ho un rapporto schietto e diretto: si può ridere e scherzare in settimana, non disdegno un sorriso ma quando c'è da lavorare chiedo e pretendo dai ragazzi che si lavori con intensità e massima concentrazione”.

Da calciatore è passato attraverso Serie C e B prima di spiccare il volo. Quanto conta la gavetta? 

“Ogni ragazzo ha il proprio percorso. È facile arrivare in alto così come cascare velocemente: bisogna arrivare a grandi livelli un passo alla volta per essere pronti a restare poi in alto a lungo. Per questo avevo accettato di allenare in Serie D, una categoria dove la squadra è un misto di Under e Over. Non bisogna bruciare le tappe, ma crescere passo dopo passo. L'ho fatto da calciatore partendo dalla C fino ad arrivare alla vittoria del Mondiale”.

Quando ha sentito che stava germogliando in lei la vocazione verso la panchina? 

“Le confesso che intorno ai 27/28 anni ho iniziare a guardare il ruolo del mister sotto un'altra luce. Ricordo che cominciavo ad appuntarmi qualche frase detta dagli allenatori nello spogliatoio e alcuni esercizi di allenamento. Tutte cose che ho ritrovato poi da tecnico, anche se il calcio è cambiato radicalmente negli ultimi anni. Ecco lì penso che sia iniziata a nascere in me la propensione verso il mestiere da allenatore”.

Cosa cambia nel passaggio da calciatore a tecnico?

“Allenare è diverso da giocare: quando sei un calciatore pensi individualmente, da tecnico devi gestire e pensare a 30 persone. Sei tu a capo di tutto e devi tenere a bada tantissime cose, però la sensazione di allenare è davvero bella e appagante”. 

Lei ha avuto tanti grandi maestri: proviamo a raccontare cosa le hanno trasmesso...

“Volentieri”.

Partiamo da Walter Salvioni che la guidò verso il calcio professionistico ai tempi della Primavera del Parma. 

“È stato lui a spostarmi mezzala per la prima volta. Da ragazzino giocavo più da numero 10 e vicino alla porta. A Parma c’era un settore giovanile di altissimo livello, per me è stata una tappa fondamentale. Così come l’incontro con mister Salvioni, visto che con lui sono diventato centrocampista centrale nel suo 4-4-2 con licenza di inserimento. Giocavo in Primavera sotto etá e ci ha visto lungo, perché il ruolo che mi cucì addosso è stato quello che poi ho ricoperto in tutta la carriera”.  

Spesso Ancelotti la chiamava ad allenarsi con la Prima Squadra. Che ricordi conserva di quegli anni? 

“Il Parma di Ancelotti era una squadra stellare: dove ti giravi, vedevi campioni straordinari. Thuram, Cannavaro, Buffon, Crespo, Chiesa, Zola e potrei andare avanti ancora. Io lavoravo molto a contatto con i centrocampisti e cercavo di rubare segreti a Dino Baggio, Crippa e Stanic, che mi hanno aiutato molto con i loro consigli soprattutto nella gestione del lavoro a livello di testa. Da loro ho appreso quei dettagli che poi ti fanno fare una carriera a certi livelli”. 

Lei è stato uno dei protagonisti della favola Chievo volati dalla B alla Coppa Uefa in 2 anni con Gigi Delneri. In cosa era speciale il tecnico di Aquileia?

“Delneri lo definirei un innovatore. La linea di difesa altissima con fuorigioco a 60 metri dalla porta era qualcosa di rivoluzionario all’epoca. Tranne Corini eravamo tutti ragazzi debuttanti in Serie A, eppure grazie alle sue idee giocavamo con coraggio e personalità su tutti i campi, tanto da arrivare quinti. Un risultato clamoroso per una neopromossa. A livello umano Gigi è una bravissima persona, forse fin troppo per il mondo del calcio. Mi ha dato una base per crescere soprattutto per quanto riguarda i tempi di inserimento in fase offensiva. Gli devo tanto”. 

A Parma con Cesare Prandelli invece si impone come uno dei migliori centrocampisti della A.

“Prandelli è stato un papà calcistico. Era un insegnante di calcio: da quella squadra e non è un caso tutti hanno fatto una carriera ad alti livelli. Lui ci insegnava la postura da tenere in campo, il come ricevere la palla. Piccoli accorgimenti che però permettevano a ognuno di noi di crescere. Con lui ho esordito in coppa UEFA e sono arrivato alla prima convocazione in nazionale”.

A Palermo poi incontra Francesco Guidolin...

“Il mister era avanti di 20 anni come visione di calcio, visto che con lui a Palermo giocavamo già con la difesa a tre adesso diventata un must per tanti. Guidolin era peparatissimo, ma più chiuso caratterialmente rispetto a Delneri e Prandelli, tuttavia sapeva sempre come pungolarti e stimolarti al massimo con qualche battutina o frecciatina al momento giusto”. 

Il boom di Palermo le spalanca le porte della Nazionale di Marcello Lippi che la impone come punto fermo del gruppo azzurro tra il 2004 e il 2006.

“Lippi aveva un grandissimo carisma. Rispetto agli allenatori di club era più un gestore, perché in nazionale il lavoro quotidiano era ridotto al minimo. Di lui come tecnico conservo un ricordo stupendo legato all’intero biennio poi culminato nel trionfo al Mondiale. Mister Lippi aveva una caratura internazionale ed era bravissimo nella creazione di un gruppo caratterizzato da una coesione straordinaria e da una mentalità vincente. Principi che lui sapeva trasmettere a tutti noi. Il suo pregio maggiore era il saper coinvolgere e far sentire tutti importanti all'interno del gruppo, anche chi giocava meno con lui si sentiva parte attiva della squadra”.  

Sul finale della sua carriera ha avuto un giovane Max Allegri. Era già così bravo come poi ha dimostrato negli anni? 

“Allegri era al suo secondo anno di Serie A quando l'ho avuto a Cagliari, però era già molto preparato. Aneddoti? Gli piaceva molto ridere e scherzare con il gruppo per smorzare la tensione. Sul campo invece voleva grande attenzione e partecipazione, ci chiedeva per quell’ora di seduta una concentrazione massimale. Quando era in vantaggio, non metteva giocatori di rottura ma puntava sempre a far un gol più degli avversari mantenendo un assetto offensivo. Ci siamo poi ritrovati Alla Juve, quando guidavo l’Under 16 e ho avuto la fortuna e il piacere di potermi interfacciare e confrontare con lui nel quotidiano”.

Quanto è cambiato Max da Cagliari ai trionfi bianconeri? 

“Alla Juve è diventato più gestore e manager rispetto ad allenatore di campo come era a Cagliari. Il suo ritorno sicuramente può permettere alla Juve di tornare ai massimi livelli nel giro di qualche anno. La sua Juve attuale infatti non è paragonabile a quella di 4-5 anni fa, però Allegri è l’uomo giusto per ricostruire una squadra che possa tornare a essere vincente”. 

Tra le tante maglie che hai indossato c’è quella gloriosa del Torino che ora con Juric sembra possa tornare competitivo...

“Toro-Juric è un bel binomio. Quella granata è un piazza molto passionale, ma in cui ci sono tante pressioni e aspettative. Non è facile viverla sia per un giocatore sia per un tecnico. Quest’anno sono convinto che i granata possano fare molto bene: il gioco uomo contro uomo a tutto campo di Juric può riportare il Torino nelle posizioni che contano”. 

Un’altra sua ex squadra come il Cagliari invece non se la passa bene...

“Visto da fuori mi spiace molto. Una piazza come Cagliari non merita il penultimo posto in classifica. Ormai le difficoltà stanno diventando cicliche negli ultimi anni, dove sono passati tanti allenatori di livello da Maran a Di Francesco passando per Zenga e Semplici fino all’ultimo arrivato Mazzarri. Ricetta per risalire? Hanno bisogno di portare a casa qualche risultato anche sporco per ritrovare conviozne e fiducia. Solo così potano risollevarsi, anche perché presi individualmente ci sono tanti ottimi giocatori. Credo quindi sia più una questione di fiducia”.

Diamo uno sguardo alla lotta scudetto: chi vede favorita per il tricolore? 

“Il Napoli è la squadra che mi ha impressionato di più finora: non mi aspettavo che potessero andare così forte con Spalletti. In passato gli azzurri avevano steccato ogniqualvolta dovevano fare il salto di qualità e c'era la gara da vincere a tutti i costi. Fino ad oggi invece hanno dimostrato carattere e personalità oltre a giocare molto bene. Ho visto un Napoli devastante che può dire la sua in chiave primo posto e ciò è merito sicuramente del grande lavoro fatto da Luciano Spalletti. Dietro gli azzurri l’Inter resta molto attrezzata e con una rosa davvero forte. Poi occhio sempre all’Atalanta che ha grande identità e al Milan: la squadra di Pioli sta facendo molto e dopo la scorsa stagione si sta confermando a grandi livelli, ottenendo vittorie importanti nonostante le assenze di campioni di come Ibra e Giroud. Lo ritengo questo un segnale importante: significa che i giovani si sono responsabilizzati e sono pronti per i massimi traguardi”. 

Quest’anno in Serie A ci sono tanti grandi centrocampisti: chi è il suo preferito? 

“Scelgo Barella, lo conosco da quando giocavo a Cagliari e lui era un ragazzino del settore giovanile. Già allora se ne parlava benissimo: oggi è un centrocampista completo, difende e sa segnare. Nicolò è cresciuto molto in zona offensiva con assist e giocate importanti. Adesso è un calciatore completo e con ancora margini di crescita, pertanto mi auguro che resti a lungo in Italia. Sarebbe un peccato vederlo volare all’estero anche se è normale che un talento così faccia gola ai più grandi club europei”. 

Parlando di Barella viene in mente la Nazionale che tra pochi giorni cercherà di vincere la Nations League: gli azzurri di Mancini possono replicare in Qatar le vostre gesta del 2006? 

“Da italiano me lo auguro. La Nazionale di Mancini non ha i Campioni di quella del 2006, ma ci sono grandi somiglianze per quanto riguarda lo spirito vincente e la coesione del gruppo che mi ricordano quelle della mia Italia. Si vede che stanno bene insieme anche nelle piccole cose quotidiane, come accadeva a noi e ciò é fondamentale per arrivare in alto. Un'armonia del genere è alla base di un gruppo vincente”. 

Dagli azzurri di oggi a quelli del trionfo in Germania del 2006: c’è ancora uno di voi che non vuole smettere di stupire...

“(sorride, ndr). Lo conosco bene Gigi! Con Buffon siamo cresciuti insieme, ci conosciamo da una vita e abbiamo fatto tutta la trafila delle giovanili insieme a Parma. Fisicamente è integro, mentalmente motivato e voglioso di fare la differenza. Gigi ha ancora il fuoco dentro e finché ce l'hai, puoi giocare a grandi livelli a qualunque età. Ha fatto una scelta di cuore nello scendere in B per riportare in alto il Parma e sono sicuro che realizzerà il suo obiettivo anche stavolta”.

A proposito: chi vede favorito per la promozione in Serie A?

“La Serie B rimane un campionato lungo e difficile con tante pretendenti. Credo che Parma e Brescia abbiano qualcosa in più rispetto a Monza, Lecce e Spal. Occhio poi alle sorprese. Pisa? Giocano molto bene e meritano l’attuale primo posto: mi hanno impressionato, l’unico dubbio è se l’organico nerazzurro possa tenere questi ritmi fino alla fine”. 

Torniamo a Buffon: si narra di duelli infiniti a ping pong tra di voi. Cosa c’è di vero?

“Tutto vero, lo confermo. Quante sfide all'ultimo sangue a ping pong con Gigi! Le racconto un aneddoto: in Germania durante il Mondiale venne a vederci giocare una sera anche mister Lippi. Vinco all'ultimo punto e Gigi la prende male, si arrabbia e prende a calci una vetrata: potete immaginare la reazione spaventata e sconcertata di Lippi. Io stesso mi ero preoccupato, temendo potesse essersi fatto male. Non fossimo stati così uniti e coesi, probabilmente sarebbe scoppiato un casino. Invece un quarto d'ora dopo Gigi venne a bussarmi in camera per avere la rivincita. Questo per dirle la serenità che c'era all'interno di quella squadra...”.

Se uno come Buffon non ha nulla a che vedere con la Serie B, pure una piazza come Palermo stride con palcoscenici come la Lega Pro...

“Eh già, mi spiace davvero vederlo in Lega Pro. Mi auguro possano tornare al più presto almeno in B. Una piazza del genere deve stare in categorie più importanti di quella attuale. Ho vissuto lì anni fantastici e resto tuttora legatissimo a quei colori e alla gente palermitana, che mi ha voluto davvero bene. A Palermo ho trovato tanti amici anche fuori dal campo, pensi che tuttora io, Grosso, Zauli e Morrone abbiamo una chat dove ci sentiamo quotidianamente. Sono rimasto legatissimo pure con Barzagli, Zaccardo e Luca Toni con i quali trascorriamo insieme le vacanze e ci vediamo spessissimo”. 

È vero che nel 2006 fu a un passo dalla Juventus? 

“Nel mercato di gennaio Moggi e Capello mi volevano alla Juve per rimpiazzare Emerson alle prese con la pubalgia. Io ero appena rientrato dalle vacanze natalizie e Zamparini prima dá l'ok alla mia cessione, poi decide di rinviare ogni discorso a dopo la gara di campionato: alla Befana c'era in programma proprio Palermo-Juve. Perdemmo 2-1, ma giocai una grande partita e così il presidente decise di trattenermi. Ho perso l'occasione di andare in una big, però alla fine andata bene così. Restando a Palermo ho giocato titolare e alla fine del campionato Lippi mi ha portato al Mondiale, fossi andato alla Juve probabilmente non avrei vinto la Coppa del Mondo. Quel mancato trasferimento di mercato l’ho sempre considerato un segno del destino che a volte toglie, a volte dá”.

Restando in Lega Pro non posso non chiederle del Padova, il suo primo club calcistico nei professionisti. È l’anno buono per rivederlo in B?

“Dopo la doppia beffa della scorsa stagione questo può essere l'anno buono per il ritorno in cadetteria. Restano la grande favorita del girone A. I biancoscudati sono superiori per organico a tutte le altre. A Padova ho vissuto il mio primo anno nei professionisti e conservo un ricordo speciale”.

Proprio a Padova ha giocato con De Zerbi che poi ha ritrovato a Sassuolo: diventerà un grande allenatore? 

“Abbiamo lavorato insieme e a stretto contatto per 3 anni a Sassuolo, dove io guidavo l'Under 18 e lui la Prima Squadra. Robi è un rivoluzionario, innamorato della costruzione dal basso idee e con principi di gioco importanti. Negli anni ha saputo anche essere meno integralista, vericalizzando di più. L'esperienza allo Shakthar lo può rendere un top allenatore a livello europeo”. 

In chiusura torniamo a lei: dove le piacerebbe allenare? 

“Mi sento pronto per una panchina tra i grandi. Sono convinto che l’importante sia trovare persone serie per poter lavorare bene. Non ne faccio una questione di categoria o geografica. Lega Pro o Serie D va bene uguale, così come allenare al Nord o al Sud, purché ci sia la possibilità di potersi esprimere. Da parte mia c'è una grande voglia di mettermi in gioco, insieme a motivazioni importanti per poter trasmettere le mie idee e la mia esperienza a un gruppo di giocatori. Spero possa arrivare nelle prossime settimane l’opportunità giusta e qualcosa di interessante. Nel frattempo resto sul pezzo divorando partite su partite, così da avere una visione a 360 gradi delle varie categorie. Tutte conoscenze utili per la nuova avventura. Sono pronto e non vedo l’ora di rincominciare”. 

Parola di Campione del Mondo.

© 2024 Nicolò Schira

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